SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Giudice di Pace di Trieste, con sentenza del 28 settembre 2001,
rigettava l'opposizione proposta da P.G. avverso l'ordinanza-ingiunzione
con la quale il Prefetto di Trieste gli aveva irrogato la sanzione
amministrativa di lire 2.424.000 ed aveva disposto la confisca
dello strumento "phazer" per la violazione dell'art.
45, comma 9-bis, del codice della strada. In particolare, per quanto
qui ancora interessa, il Giudice di Pace osservava che il dispositivo,
denominato "phazer", installato dall'opponente all'interno
della propria autovettura sulla parte superiore del parabrezza,
consentiva, secondo la documentazione proveniente dalla società produttrice,
di captare il segnale inviato dai radar misuratori di velocità (come
ad esempio l'autovelox) e di rifletterlo verso gli stessi; pertanto,
tale strumento, in contrasto con quanto previsto dall'art. 45,
comma 9-bis, del codice della strada (introdotto dall'art. 31 della
l. n. 472/1999), consentiva di localizzare direttamente i dispositivi
misuratori della velocità in dotazione agli organi di polizia,
anche se non ne segnalava al conducente la presenza; inoltre, una
interpretazione logica e non meramente letterale dell'art. 45 rendeva
evidente il divieto dell'uso di qualsiasi dispositivo idoneo ad
eludere il controllo delle violazioni dei limiti di velocità con
i dispositivi di cui all'art. 142 del codice della strada.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta
il vizio di motivazione, assumendo che incongruamente
la sentenza impugnata aveva ritenuto che un
ricevitore passivo potesse localizzare i dispositivi
in dotazione della Polizia.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art.
1 della l. 24 novembre 1981, n. 689, lamentando che erroneamente
la sentenza impugnata aveva ritenuto possibile, sulla base dell'identità di
ratio, una interpretazione analogica del divieto di dispositivi
di localizzazione.
I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente
connessi e sono infondati.
L'art. 45, comma 9-bis, del d.lgs. n. 285 del 1992 vieta «la
produzione, la commercializzazione e l'uso di dispositivi che,
direttamente o indirettamente, segnalano la presenza e consentono
la localizzazione delle apposite apparecchiature di rilevamento
di cui all'art. 142, comma 6, utilizzate dagli organi di polizia
stradale per il controllo delle violazioni» dei limiti di
velocità previsti dallo stesso art. 142. La ratio della
disposizione è evidentemente quella di impedire che siano
elusi i controlli effettuati con le apparecchiature di rilevamento
della velocità e di impedire che in tal modo i veicoli possano
procedere a velocità vietate. Rispetto a tale ratio è del
tutto indifferente che il dispositivo consenta al conducente di
superare i controlli adeguando momentaneamente la velocità ai
limiti ovvero addirittura continuando a mantenere la velocità vietata.
Alla luce di tale ratio, secondo una interpretazione che tenga
conto della volontà del legislatore, deve essere intesa
l'espressione «segnalano la presenza e consentono la localizzazione»;
in particolare, non occorre che le due caratteristiche del dispositivo
concorrano essendo, invece, sufficiente che ne ricorra soltanto
una per giustificare il divieto. In questo senso, del resto, può leggersi
la ricordata espressione; infatti, poiché la segnalazione
della presenza presuppone necessariamente la localizzazione, la
distinta previsione della possibilità di localizzazione
sarebbe del tutto inutile e si spiega soltanto in quanto a tale
possibilità sia dato autonomo rilievo; il che induce a ritenere
che la congiunzione "e" debba essere intesa in senso
disgiuntivo anziché cumulativo.
Devono, pertanto, ritenersi vietati, in virtù di una interpretazione
logica della norma e non in virtù di una sua applicazione
analogica, anche i dispositivi che, ancorché senza segnalarlo
al conducente, localizzano le apparecchiature di rilevamento della
velocità. Né, d'altro canto, occorre che la localizzazione
si traduca in coordinate geografiche o in indicazioni topografiche,
essendo sufficiente la semplice ed automatica restituzione del
segnale, che, ovviamente, presuppone l'individuazione della fonte.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il
ricorso.
OBBLIGO DI COMUNICAZIONE DEI RISCHI
FINANZIARI
Si segnala una interessante e significativa sentenza del Tribunale
di Treviso (Giudice Unico Dott.ssa Franca Bigi) che sancisce l’obbligo
per gli Istituti di Credito di informare con particolare diligenza
il cliente sui rischi che può correre nel concludere determinate
operazioni di investimento.
Si ricorda difatti, in proposito, anche l’art. 28 Regolamente
Consob n.11522/1998 che impone ...
continua >>
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